Ombre e Prospettiva

Alle basi empiriche della prospettiva appartiene anche la produzione di ombre. L'osservazione che “il contorno da noi percepito ogniqualvolta osserviamo un corpo è il medesimo che ne circonda l'ombra, purché questa sia formata da una sorgente luminosa collocata nella stessa posizione in cui si trovava l'occhio” si trova già (anche se formulata in termini meno precisi), nel manoscritto del “De Statua” di L.B. Alberti.
Tuttavia per la cultura rinascimentale fondamentalmente antropocentrica era difficile distinguere “la presenza, all'interno di una proiezione (la perspectiva artificialis) di una ulteriore proiezione (quella delle ombre), cioè la compresenza di due punti di osservazione: l'occhio dell'osservatore e la sorgente di luce”. Occorreva infatti, per farlo, “considerare il problema delle ombre come qualcosa di esterno alla figurazione”, slegato dal problema dell'intersezione tra piramide visiva e quadro (De Rosa, 1997). Prima che fosse possibile avviare la ricerca (a cui hanno collaborato tutti i principali studiosi di prospettiva) che ha condotto a metodi geometrici esatti per la costruzione di ombre utilizzabili dai pittori, è stato dunque necessario superare questo “ostacolo epistemologico”. L'osservazione esplicita che se occhio e sorgente luminosa coincidessero le ombre non potrebbero essere osservate, si rintraccia in Galilei (1611) e in Pietro Accolti (1624).
Non è stato semplice differenziare in modo rigoroso, in relazione agli effetti d'ombra, sorgenti naturali e artificiali, puntiformi e non puntiformi. Prima del XVII secolo, era molto difficile o impossibile inquadrare correttamente nella prospettiva artificiale le proiezioni parallele (ombre solari); altre difficoltà derivavano dalla distinzione tra ombre proprie e portate.
E così, per ciò che riguarda la produzione di ombre, la separazione tra teoria e pratica è forse più radicale e profonda di quella che si riscontra nell'evoluzione storica della prospettiva artificiale. Una consapevolezza teorica incompleta (o che noi possiamo giudicare tale) non ha mai impedito che si producessero efficacemente ombre, con le più diverse finalità di impiego. Esistevano numerose e svariate “pratiche di bottega” che consentivano di inserire nelle pitture ombre realistiche delle cose o persone ritratte, anche se non erano esatte da un punto di vista geometrico. La proiezione di griglie (o di cartoni forati) mediante sorgenti luminose servì per dipingere immagini illusionistiche su volte ricurve o soffitti, per costruire anamorfosi, per tracciare reticolati su carte astronomiche e geografiche.
Occorre attendere che sia formulata una teoria delle proiezioni più astratta (comprendente piramidi e coni con vertice improprio) affinché la prospettiva, legata alla scienza pura e alla matematica, meno subordinata ai problemi specifici della pittura, accolga al suo interno una teoria delle ombre sufficientemente completa. A ciò contribuirono gli studi sui planisferi, sulle carte celesti e terrestri, sugli orologi solari e gli astrolabi, sulle tecniche di rilevamento urbano e territoriale.

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