Prospettiva e trasformazioni

Trascorsa la fase “creativa” iniziale, affiora subito e diventa sempre più evidente la separazione fra ricerca teorica e attività pratica nell'evoluzione della prospettiva. Era senza dubbio naturale l'emergere di contrasti tra esigenze dell'invenzione e costrizioni imposte dalle regole: Michelangelo sosteneva che un artista deve avere “le seste negli occhi”, piuttosto che affidarsi a procedimenti matematici. Inoltre le “pratiche di bottega” avevano più facile diffusione dei manoscritti teorici (le opere a stampa sulla prospettiva comparvero abbastanza tardi in Italia). L'elemento fondamentale è tuttavia di natura diversa: il tema della prospettiva come scienza dell'arte è intimamente legato al problema più generale della rappresentazione in piano di oggetti tridimensionali. Questo risulta importante in numerose attività: ad esempio nelle proiezioni cartografiche (rappresentazione della sfera celeste, della terra ecc.) o nella gestione di “fabbriche” per fortificazioni militari, opere idrauliche, cattedrali e palazzi. Ciò ha contribuito a far sì che gli studiosi (in parte per interessi matematici specifici, in parte perché impegnati nell'arte militare, o esperti cartografi, o architetti competenti nel taglio delle pietre e nella progettazione di orologi solari) sviluppassero la geometria della prospettiva (e il rigore delle dimostrazioni) ben oltre le esigenze e le possibilità di comprensione di molti artisti, trasformandola in una teoria astratta delle proiezioni.

La redazione dei trattati e manuali di prospettiva passa così “dalle mani degli inventori, tutti artisti con forti simpatie per la scienza, a quelle dei codificatori, tutti scienziati solo talvolta attenti alle esigenze dell'arte”. Nel XVI secolo si può notare “una caratteristica alternanza di testi 'facili', al limite dell'empiria, e di testi 'difficili', al limite dell'astrazione incomprensibile per i non iniziati” (Vagnetti, 1979). E' in questi ultimi (citiamo, per l'Italia, le opere di Commandino, Benedetti, Guidubaldo del Monte) che “assistiamo alla nascita della geometria proiettiva come disciplina autonoma: posta ancora in relazione con la scienza dei pittori ma sempre più separata da questa nei suoi mezzi e nei suoi fini” (Kemp, 1994).

Nei secoli XVII e XVIII l'attività degli sperimentatori riserva spazi sempre più ampi agli artifici, alle applicazioni bizzarre e curiose, tra cui anamorfosi, scenografia, raffigurazioni illusionistiche. Si allarga così anche il terreno di esercizio per i teorici, mentre permane l'intreccio ma anche la divisione dei compiti tra trattati rigorosi e manuali operativi (senza cura per le dimostrazioni), accompagnati a testi con finalità esplicitamente didattiche.

In questo lungo periodo la teoria delle proiezioni assorbe gradualmente i metodi che, con l'uso congiunto dell'algebra e del movimento, avevano aperto nuovi orizzonti al pensiero matematico. Le opere di Stevin, De la Hire, Lambert presentano per la prima volta in forma ancora embrionale il concetto di omologia. Le opere di Desargues e Pascal includono la teoria delle coniche nella matematica delle proiezioni e inaugurano nuovi concetti e nuove tecniche dimostrative che, in forma più completa e con apparati analitici adeguati, si ritrovano negli scritti di Newton e Jacquier sulle ombre di curve piane.

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